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La mia seconda volta in Giappone : Giorno 1


La seconda volta in Giappone non è poi tanto diversa dalla prima. Forse sarà a causa dei troppi anni di attesa, fatto sta’ che all’arrivo ho avuto quasi la sensazione di essere lì per la prima volta. Il senso di smarrimento è forte, ma fortunatamente dentro di sé c’è la consapevolezza di esserci già passati senza difficoltà e che quindi bisogna solo prenderci le misure.

E per farlo ci vuole ben poco! Solo il tempo di uscire da Narita che, già fissando la mappa della linea Keisei all’interno della carrozza del treno, comincio a seguire quelle linee colorate e a districarmi tra i numeri delle stazioni. Certo, questo era facile e ci saranno altri ostacoli, ma già da qui si capisce come basti poco per dissolvere le mie paure.

C’era una cosa poi di cui mi ricordavo benissimo ma alla quale,  dopo tanto tempo, avevo cominciato a disabituarmi: ovvero la mentalità giapponese! Gran parte delle mie paure nascevano dall’eventuale nascita di disguidi e sul come avrei fatto per affrontarli. Compilerò bene la carta di sbarco? Mi faranno storie all’immigrazione? Lo standard dei Ryokan sarà sempre all’altezza? Avranno tenuto la prenotazione sulla fiducia e senza chiedermi nemmeno uno Yen di acconto? Il pacchetto con il mio modem per internet sarà stato veramente spedito di domenica e lo troverò il lunedì mattina al mio arrivo?

Ma nel momento che, una dopo l’altra, tutte le tue paure vengono fugate, ti ricordi perché ami tanto questo paese e come davanti a te ci siano 10 giorni meravigliosi ad aspettarti.

Ma facciamo un piccolo passo indietro e torniamo a Narita.

Dal momento in cui scendo dall’aereo sembra  che io sia l’ingranaggio di una macchina perfettamente oliata e sincronizzata coi miei tempi. Mi prendo tutta la calma per godermi questi primi istanti e mi lascio superare da tutti gli altri passeggeri lungo gli infiniti corridoi del terminal. Mi fermo per accendere il telefono, mi registro con facilità al Free WiFi dell’aeroporto e mando i primi messaggini.  Mi fermo di nuovo per andare in bagno e mi godo i corridoi deserti fino ad arrivare all’immigrazione con la mia disembarkation card già compilata prima di atterrare. Una ragazza gentilissima controlla passaporto, mi prende impronte digitali e foto in pochissimi secondi, e posso andare al ritiro bagagli dove nell’avvicinarmi vedo la mia valigia venirmi incontro tanto che non devo nemmeno fermarmi; la prendo al volo e sono già in dogana. Nessun controllo nemmeno qui e sono fuori!

La prossima tappa è quella di comprare i biglietti e trovare il treno giusto. E anche qui fila tutto liscio salvo forse per il fatto che mi sarei potuto risparmiare qualche centinaia di metri avanti indietro anche se non mi sono preoccupato di scoprire come.  
E così in men che non si dica sono sul treno che mi porterà a Tokyo!Ovviamente scelgo la soluzione più economica. Ok, è vero che avrei risparmiato un 30 minuti di viaggio ma con quella differenza di prezzo mi pago il viaggio di ritorno e mi avanzano pure Yen. E poi in quel momento non avevo nessuna fretta. Ero lì seduto (incivilmente) di profilo per  godermi dal finestrino quei paesaggi e quella quotidianità che tanto mi erano mancati. E così mi emozioni per ogni risaia, per ogni casetta di campagna, per ogni scritta o per ogni passaggio a livello; così fino al mio arrivo alla stazione di Nippori.
Ammirando le risaie dal finestrino del treno
Viste le premesse e con cartina alla mano dovrebbe essere un gioco da ragazzi raggiungere il Ryokan. Ma così non è, e i primi ostacoli cominciano a presentarsi:  Ma da che uscita della stazione sono uscito? Perché non riesco a far coincidere  la mia cartina con quella nel tabellone fuori dalla stazione? Dopo che la mia proverbiale indecisione mi porta a fare 50 metri in una direzione e 50 tornando indietro, mi butto verso la prima direzione presa  (il tutto con i 22 Kg di valigia e uno zaino) e finalmente trovo i tanto cercati riscontri sulla cartina. Seguo il percorso, e dopo circa 200 metri, senza vedere nessuno degli attesi cimiteri della zona, mi ritrovo in una stradina che mi lascia senza fiato.

Yanaka Ginza con i suoi negozietti e i finti gatti Yanaka Ginza con i suoi negozietti e i finti gatti

Yanaka Ginza è una stradina semi-pedonale dove i negozi formano come un delizioso mercatino all’aperto che vende prevalentemente cibo e oggetti tradizionali. Un po’ dei miei sensi sono decisamente in subbuglio! Non so da che parte guardare per non perdermi nessuna di quelle immagini mentre gli odori sono intensi e si alternano fra loro man mano che si passa di fronte ai negozi. Tokyo sembra volermi dare in benvenuto e lo continua a fare con piccoli particolari che sembrano messi appositamente lì per me. Così scopro che le mascotte di questa stradina sono i gatti, tanto che sui tetti di alcuni negozi ve ne sono anche di finti e decorativi in diverse posizioni. Lungo tutta la strada poi ci sono altoparlanti che diffondono musica di sottofondo.E qui mi viene dato il colpo di grazia con Tough Boy direttamente dalla seconda serie di Ken! Ma com’è possibile???  Non sono né ad Akihabara, né in un qualunque altro angolo della città riservato agli otaku! Sono in una normale stradina dove la maggior parte dei negozi sono gestiti da tenere vecchine. Inoltre stiamo parlando della sigla di una serie che ormai ha più di 20 anni e che forse è più cult dalle nostre parti. Vabbè, resta il fatto che sia lì ad accompagnare il mio passaggio e questo mi è sembrato un segno molto positivo.
E così, tra un banchetto che vende bento e una bottega che fa degustazioni di thè eccomi arrivare agevolmente al Ryokan.

Qui ad accogliermi c’è Yuko che mi sorprende per il suo modo quasi maniacale con cui mi mostra ogni minima cosa che potrebbe essermi utile per un piacevole soggiorno. Ma ancor di più mi stupisce quel suo livello d’ inglese che difficilmente ritroverò in altre persone nel corso di tutta la vacanza. La stanza è bella, grande e ha tutto quello che potessi desiderare.

La mia spaziosissima stanza del ryokan
Ma non c’è tempo per fermarsi a sistemarci, voglio uscire! Devo immergermi nella mia Tokyo!

La prima tappa è banalmente la più vicina: Ueno (anche se, avendo comprato un biglietto per viaggi illimitati sulla Tokyo Metro, mi vedo costretto ad allungare molto il viaggio per raggiungerla).
Come esco dalla stazione, i paesaggi intorno a me cominciano farsi molto familiari: L’incrocio davanti alla stazione con il suo intreccio di sopraelevate, le porte dei mercatini di Ameyokocho, i 5 piani di Yomoshiroya e la scalinata che porta al parco. Ecco, ora sì che sono proprio a casa!

Beh, proprio a voler dirla tutta, il parco mi si presenta molto meno familiare di come avevo imparato a conoscerlo. Ora siamo a metà maggio e quindi non c’è nemmeno lontanamente l’ombra di quel tripudio di fiori pannuti bianchi e rosa che avevo conosciuto qualche anno prima. Però è pur sempre il parco di Ueno e basta immergersi di pochi metri per assaporare quella sua tranquillità che ti fa dimenticare di essere circondato dalla frenesia della metropoli.

E poi c’è tutto il resto: i suoi enormi corvi (che risultano essere anche il sottofondo più rumoroso della passeggiata), i suoi templi,  i suoi altarini , il piccolo corridoio di Tori, le lanterne di pietra, le statue, il laghetto Shinobazu nel quale si specchiano i grattacieli sullo sfondo e i classici pedalò a forma di cigno, lo zoo e… ah sì, c’è anche qualcosa di nuovo: uno Starbucks proprio nel centro del parco :D
Ormai non ho più un orologio interno, son sveglio da 30 ore e l’ultimo pasto è stata la colazione sull’aero. Così mi concedo due passi tra le viette dell’ Ameyokocho e mi fermo a prendere una porzione di ottimi Takoyaki prima di rimettermi (con la bocca completamente ustionata) in metro e tornare al Ryokan per riposare un pochino.  

Ma proprio quando sono a poche decine di metri dall’ingresso, vengo attirato da un’anonima e allo stesso tempo affascinante stradina; e così mi ritrovo a passare quasi due ore perdendomi tra le vie del quartiere. Pur non avendo la forza di raggiungere il più grande e principale cimitero di yanaka, mi imbatto in diversi piccoli templi con annesso cimitero e decido di intrufolarmi in uno di questi.

Se non fosse ancora giorno e non ne fossi totalmente affascinato, non faticherei a definire spettrale l’atmosfera che si respirava. I classici secchiellini di legno per l’acqua sono tutti riposti in modo ordinato all’ingresso vicino alla fontanella, e girando fra le tombe si può apprezzare un surreale silenzio rotto solo dal rumore delle tipiche tavolette di legno inciso che sbattono fra loro, mosse dal vento.

Son passate le sette di sera e, anche per colpa di quel vento di prima, comincia a far freddo. Questa volta torno veramente al Ryokan anche se non ci resterò a lungo. Ormai voglio chiudere la giornata tornando a Ueno per mangiare qualcosa. Trovo così il primo posto che mi ispira e mi infilo dentro per mangiarmi un bel Katsudon e scoprire che quel poco di giapponese che ricordo probabilmente mi servirà a ben poco.  Molto bene! Forse avrei fatto meglio a ripassare in aereo invece di sforzarmi inutilmente di dormine.

Ed è così che, dopo 35 ore di veglia,  mi infilo nel futon e decreto la fine di questa mia prima e lunga giornata a Tokyo.


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